L’angoscia di morte che sottende al Covid-19

Coronavirus

Perchè e come manifestiamo un'angoscia di morte?

Riflessione esistenziale sul Covid-19

Dott.ssa Silvia Findanno

1. La vita, l’angoscia, la morte…
-Sigmund Freud
-Melaine Klein
2. Le difese contro l’angoscia di morte
– L’essere speciali
– Il salvatore ultimo
3. Conclusioni

La vita, l’angoscia, la morte…

Come accennato nell’articolo precedente (la psicopatologia del Covid-19), sulla base delle comunicazioni avvenute in terapia con i miei pazienti, le angosce suscitate in questa fase di allarme covid 19 sono state dominanti e molteplici.

La mia ipotesi è che vi sia un comune denominatore ad esse sotteso:

  • c’è chi parla di un’angoscia di contaminazione
  • chi di una paura, per sé e/o per i propri cari,
  • chi di essere ospedalizzato ed abbandonato a se stesso,
  • oppure chi si mostra preoccupato per il risvolto economico e sociale che tutta questa situazione comporterà per il futuro.

Queste e tante altre le angosce che più o meno consapevolmente stanno abitando in ognuno di noi nelle ultime settimane, ritengo tuttavia che altro non siano che “maschere”, “baluardi”, modi talvolta anche creativi attraverso cui è in realtà un’unica paura che si sta di fatto manifestando, mi riferisco all’angoscia di morte.

Vorrei allora approfondire tale delicata e complessa tematica da una prospettiva psicoanalitico–esistenziale, ricorrendo alle formulazioni teoriche di importanti autori che hanno caratterizzato il passato della psicoterapia e posto le basi per tutte le teorie e le tecniche odierne.

1. Sigmund Freud

Primo tra tutti, impossibile non citarlo, Sigmund Freud. In Studi sull’isteria, pubblicato nel 1895 in collaborazione con Josef Breuer, suggerì che all’origine dei disturbi isterici vi fosse un trauma non dissipato, costantemente attivo, il cui ricordo e le cui emozioni associate erano stati rimossi dal pensiero cosciente (fu questa la prima comparsa dei concetti di “rimozione” e di “inconscio” da lui proposti). Tuttavia, l’affetto soffocato tendeva a persistere all’interno del mondo inconscio trovando espressione conscia attraverso meccanismi di conversione (da qui “isteria di conversione”) in sintomi fisici.

Riportando tali elementi teorici all’interno dell’ambito clinico, e quindi del trattamento, ne conseguiva che il paziente dovesse essere posto nelle condizioni di poter ricordare il trauma, dando libera espressione a quell’affetto soffocato. Da qui l’utilizzo dell’ipnosi prima e delle libere associazioni poi come tecniche terapeutiche.

Sulla base di tali premesse, per Freud la fonte dell’angoscia era allora un trauma “reale” esperito nel periodo iniziale dell’esistenza del paziente, trauma di natura dapprima prettamente sessuale, per poi arrivare a mettere l’accento su un’affezione d’angoscia:

“l’angoscia è la reazione originaria all’impotenza vissuta nel trauma, reazione la quale, in seguito, è riprodotta nella situazione del pericolo come segnale di allarme”

(S. Freud, Inibizione, sinotmo e angoscia, In Opere, vol. 10, Inibizione, sintomo e angoscia e altri scritti (1924-1929), Torino, Boringhieri, 1978, p. 312)).

Essendo il problema dell’angoscia la vera base della teoria psicoanalitica, furono molteplici, talvolta contraddittorie, le sue affermazioni a tal proposito. Ad ogni modo individuò due origini primarie dell’angoscia:

  • la perdita della madre (abbandono e separazione),
  • la perdita del fallo (angoscia da castrazione).

Altre fonti importanti potevano essere relative al Super – Io (angoscia morale), la paura per le proprie tendenze autodistruttive, la paura della disintegrazione dell’ Io (nonché di essere del tutto sopraffatti da quelle forze oscure ed inconsce che abitano dentro di noi).

Per Freud le prime due in particolare rappresentavano il combustibile principale della nostra attività mentale, sia diurna che notturna (da qui i nostri due incubi più diffusi e ricorrenti; quello di cadere e quello di essere inseguiti).

Da un punto di vista cronologico, la separazione si verifica per prima, tramite il trauma stesso della nascita, il primo momento della vita in cui tutto è sconosciuto, amplificato, spaventoso per l’essere appena nato. Questa servirebbe come a preparare all’angoscia da castrazione, intesa come una perdita di amore, una perdita della possibilità di unirsi alla madre e quindi un’angoscia di evirazione a causa dei propri desideri incestuosi.

Ad ogni modo, pur approfondendo la tematica della perdita, Freud non parlò mai direttamente della morte, nonostante la castrazione possa essere considerata come perdita del pene, e quindi impossibilità di tramandare, tramite il seme, i propri geni, non potendo così sfuggire all’estinzione (morte della specie umana). Parimenti, l’ abbandono è estremamente connesso alla morte intendendolo come perdita dell’amore; qualsiasi essere vivente se lasciato a se stesso avrà minori probabilità di sopravvivenza, sia in termini di sopravvivenza sociale se pensiamo ad un emarginato, sia in termini di sopravvivenza fisica che ne conseguirebbe.

Angoscia citazione di S.Freud

1. Melaine Klein

Di diverso parere fu Melanie Klein, la quale sottolineò quanto paura di morte e paura di castrazione fossero due entità distinte e la prima tenderebbe a rafforzare la seconda:

“Dato che la riproduzione è il modo essenziale per contrastare la morte, la perdita del mondo genitale significherebbe la fine del potere creativo che preserva e continua la vita”.

Per cui secondo tale autrice anche un’angoscia di morte, oltre alle due precedentemente proposte da Freud, risiederebbe nell’inconscio.

Le difese contro l’angoscia di morte

Potrei citare numerosi altri autori, ma rischierei di rendere questo scritto più pesante che interessante. Da un approccio prettamente psicoanalitico mi sposterò allora su di una dimensione esistenziale, facendo riferimento ad un grande psicoterapeuta che si è rivelato fondamentale nel mio percorso formativo, prezioso nella mia vita personale, oltre che di estrema utilità nella mia attività clinica con i pazienti.

Mi riferisco a Irvin D. Yalom, psichiatra, psicoterapeuta, docente statunitense ed autore del testo Psicoterapia Esistenziale (1980) a cui farò riferimento nelle successive concettualizzazioni teoriche. Partendo dal presupposto fondamentale per cui ogni essere umano tenderebbe ad eludere l’angoscia di morte attraverso modalità più o meno consapevoli, individua due meccanismi di difesa a tal proposito dominanti rispetto agli altri e strettamente connessi l’uno all’altro:

  • “l’essere speciali
  • “il salvatore ultimo”.

Psicosi e psicopatologia del coronavirus

psicopatologia del coronavirus covid-19 - Dott.ssa Findanno

1. L’essere speciali

Nel momento stesso in cui entriamo in un contatto (diretto o indiretto) con la morte (come nel nostro caso del covid 19), la nostra reazione immediata consisterà in una qualche forma di negazione.

Penso alle tante persone che nonostante i notiziari, cinesi ed italiani, stessero già da tempo trasmettendo filmati e news rispetto allo stato di allerta a causa di un’acuta malattia respiratoria, continuavano beatamente ad incontrarsi con i propri amici al bar per un aperitivo, ad andare a fare shopping al centro commerciale o prendersi un gelato di domenica presso la gelateria più buona, e quindi più affollata, della propria città.

Come afferma Yalom:

“ La negazione è un tentativo di venire a patti con l’angoscia associata alla minaccia della vita, ma è anche la funzione di una convinzione profonda della propria inviolabilità”.

E’ stato allora necessario che il governo limitasse la libertà individuale, che emanasse delle misure restrittive obbligatorie ed estese a tutto il paese, perché gli individui rinunciassero a tale meccanismo difensivo e facessero i conti con la cruda realtà, ovvero con la propria mortalità. Il tutto ha chiaramente un prezzo molto elevato;

“Una volta che la difesa è davvero minata, una volta che l’individuo davvero afferra l’idea Mio Dio, morirò davvero, e si rende conto che la vita lo tratterà nello stesso modo duro con cui tratta gli altri, si sentirà perduto e, in qualche maniera, tradito”.

Trovo importante evidenziare la componente adattiva che tale convinzione del proprio essere speciali può comunque comportare, permettendoci di emergere dalla natura e tollerare la disforia che ad essa si accompagna. Accresce il coraggio individuale poiché consente di rapportarsi ad un dato pericolo senza lasciarsene immediatamente sopraffare, senza cioè cedere alla minaccia della morte personale. Tuttavia vi sarà il rischio dell’innescarsi di un circolo vizioso, nel quale quanto più tale coraggio verrà rafforzato da un buon esito, e quindi dal potere ottenuto, con un conseguente e proporzionale mitigarsi della paura della morte, tanto più forte diverrà la convinzione del proprio essere speciale, esponendo la persona in questione ad ulteriori rischi.

Inutile dire che anche in riferimento a quest’ultimo aspetto traslato alla situazione attuale del covid 19, gli esempi sarebbero numerosi; penso ai giovani che, definiti dapprima quasi immuni al virus, sono stati i più spericolati nelle proprie condotte, apportando scarse se non addirittura assenti modificazioni alle proprie abitudini.

Eppure, come ha sottolineato un mio paziente (in forte stato ansioso) nel corso di una seduta (videochiamata Whatsapp) di un paio di settimane fa,

“ognuna di queste persone incoscienti dovrebbe essere considerata un omicida, dal momento che uscendo come se niente fosse va ad uccidere le persone più fragili”.

Ad ogni modo, il meccanismo difensivo del proprio essere speciali ha ulteriori e differenziate possibilità di manifestazione, sempre velate, nascoste, difficili da riconoscere. Un esempio potrebbe essere l’eroismo compulsivo:

“Per molti di noi l’individuazione eroica rappresenta il meglio che un uomo possa fare alla luce della sua situazione esistenziale”

ma ben presto questo tipo di difesa andrà ad interessare i più svariati ambiti di vita, dando alla luce una sorta di eroe compulsivo che di fatto si esporrà a continui rischi con l’intento (implicito, ovvero inconscio) di sfuggire al pericolo più grande che risiede al suo interno. Del resto, tutte le tendenze persecutorie e le idee di riferimento, tipiche per lo più dei disturbi psicotici (in particolare la psicosi paranoide) originano da un profondo nucleo di grandiosità (solo una persona speciale merita le attenzioni, seppur malevole, del suo ambiente circostante).

Ma ecco che si erige un ulteriore rischio, quello del suicidio. Per quanto apparentemente paradossale l’idea che una persona si suicidi in risposta ad una paura di morte, tale reazione può essere interpretata come

“un’azione attiva che permette alla persona di controllare ciò che la controlla”.

Altra sfaccettatura della difesa del proprio essere grandioso è ben incarnata dal maniaco del lavoro, con la convinzione implicita di un avanzamento, di una progressione, di un’ascesa (verso il potere, il successo, la ricchezza). Il tempo libero verrà allora percepito con estrema angoscia ed è questa la ragione per cui tali individui “vanteranno” agende piene di impegni.

“Una lotta frenetica con il tempo può essere indicativa di una potente paura della morte”

come se il tempo di vita che resta loro a disposizione fosse sempre di meno e dovessero allora portare a termine quante più cose possibile.

Chiaramente, un elemento comune alle due “categorie” sopra descritte è rappresentato da tratti narcisistici particolarmente marcati.

Non è raro per noi clinici occuparci di quella che viene definitiva “nevrosi da successo”, nonché quella curiosa situazione in cui una persona in procinto di raggiungere ciò per cui ha a lungo lottato, piuttosto che entrare in uno stato di euforia, di felicità e soddisfazione, sprofonda improvvisamente nella condizione opposta, attivando comportamenti nella direzione dell’insuccesso e sperimentando internamente una forte disforia. Freud si riferì a tali individui come

“coloro che soccombono al successo”

(S. Freud, Alcuni tipi di carattere tratti dal lavoro psicoanalitico, in Opere, vol. 8, Introduzione alla psicoanalisi e altri scritti (1915-1917), Torino, Boringhieri, 1976, pp.635-650).

Rank la descrisse invece come

“angoscia della vita”

nonché la paura di fronteggiare la vita in quanto essere separato (O. Rank, Will Therapy and Truth and Reality, cit., p. 119).

Anche in questo caso, rispetto al covid 19, più che inserire considerazioni personali, mi vorrei limitare a riportare quanto emerso nelle sedute di psicoterapia.

Penso ad una paziente, una signora di mezza età che riferendosi ai medici ed ai volontari coinvolti in prima linea nella gestione dell’emergenza, prestano servizio pur consapevoli di non essere affatto, o quanto meno non a sufficienza, salvaguardati con le dovute misure di sicurezza (si riferiva alle mascherine ed ai disinfettanti, avendo letto in un quotidiano che sarebbero molto di meno rispetto ai quantitativi giornalieri necessari).

Se dovessi leggere questa sua preoccupazione sulla base delle formulazioni teoriche sopra citate, mi sembrerebbe che questi medici e volontari si stiano muovendo, oltre che con estremo coraggio e meritevoli di tutta l’ammirazione e la gratitudine che ognuno di noi possa rivolgere loro, in preda alla difesa del proprio essere speciale. Forse si sentono immortali? Immuni dal contagio? Più volte le comunità locali li hanno definiti (ed io stessa condivido tale pensiero) degli eroi, che si tratti dell’eroismo compulsivo precedentemente menzionato? oppure di maniaci del lavoro? Che si tratti di una forma di suicidio mascherato o di tratti narcisistici marcati? Devo evidenziare che si tratta di quesiti esemplificativi rispetto alle teorie sopra citate e potenziali spunti di riflessione per ciascuno, lungi da me sminuire il loro fondamentale operato, anzi colgo l’occasione per ringraziarli la dove qualcuno di loro stesse leggendo queste righe. Anche perché, rimanendo in questa linea che definirei quasi provocatoria, d’altra parte ognuno di noi, che li guarda dagli schermi seduto comodamente sulla poltrona di casa propria, starebbe utilizzando il secondo tipo di meccanismo difensivo, nonché la fede in un salvatore ultimo.

2. Il salvatore ultimo

Premettendo che si tratta di una difesa meno efficace della fede nel proprio essere speciale, Yalom enuncia quanto segue per descrivere il prezzo che un individuo si ritrova a dover pagare nel momento in cui ricorre ad essa:

“Restare inglobati dentro un altro, non avventurarsi, sottopone allora la persona al rischio più grande di tutti, vale a dire la perdita di se stessi, il fallimento dell’esplorazione o dello sviluppo dei potenziali multiformi che ha dentro di sé”.

Detto in altri termini, l’individuo più che vivere e crescere si limiterebbe a sopravvivere, facendo di un “altro dominante” il Salvatore, colui che, dotato di competenze e “poteri magici”, sarebbe capace di dispensare amore, protezione e significato della vita.

Diviene evidente quanto il medico ed il terapeuta possano sovente essere investiti di tali aspettative grandiose con diversi livelli di consapevolezza da parte del paziente. Inoltre, se nella difesa precedente i tratti di personalità tipici erano di natura narcisistica, si configura in questa seconda difesa un substrato di personalità di tipo masochistico.

Mi domando allora chi sia questo salvatore ultimo cui ognuno di noi, più o meno consapevolmente, in questa critica situazione di allarme si sta affidando nella propria fantasia, e a cui, aggiungerei, tendiamo ad attribuire la colpa (in modo giustificato oppure no) delle difficoltà che stiamo tutti vivendo.

Che sia a livello politico, e quindi il capo dello stato o il capo del governo? Oppure a livello prettamente sanitario, e allora quel personale medico di cui parlavamo prima o colui che si occupa e gestisce l’organizzazione degli ospedali italiani?

Conclusioni

Per concludere, ognuno di noi in questa particolare e critica situazione, senza saperlo è molto probabilmente abitato dall’angoscia di morte. E tutti noi, sempre senza accorgercene, attiviamo molteplici difese (negazione prima tra tutte) per eludere tale paura.

Un lavoro di psicoterapia potrà aiutare

  • ad acquisire consapevolezza di questi e tanti altri aspetti,
  • ad orientare a padroneggiare le proprie emozioni ed impiegare i propri meccanismi difensivi al meglio
  • evitare la comparsa (o l’esacerbazione) di una qualche sintomatologia,
  • evitare l’innescarsi di un qualche circolo vizioso,
  • elevare le probabilità che potremo uscire da questo stato di emergenza quanto più sereni ed equilibrati possibile.