L’isolamento della pandemia covid-19

Coronavirus

Perchè e come manifestiamo un'angoscia di morte?

Riflessione esistenziale sul Covid-19

Dott.ssa Silvia Findanno

1. Tre diverse tipologie di “isolamento”
   1.1 Isolamento interpersonale
   1.2 Isolamento intrapersonale
   1.3 Isolamento esistenziale
2. Le ricerche sugli effetti del covid 19 sulla Salute Mentale
   2.1 La salute mentale degli operatori sanitari
   2.2 La salute mentale dei bambini
3. Come gestire al meglio la quarantena del covid 19
4. Conclusioni

Nello stato di emergenza in cui ci troviamo a causa del covid-19 siamo stati tutti sottoposti a numerosi e svariati cambiamenti delle nostre condotte ed abitudini personali.

Alcuni dei nostri diritti fondamentali sono stati momentaneamente cancellati (o quanto meno sospesi) a vantaggio di quello che ora sembrerebbe essere “il più fondamentale di tutti”; la salvaguardia della salute dei cittadini.

Mi domando tuttavia quale tipo di salute i governi siano orientati a tutelare. Di certo la decisione del Ministero della Salute di limitare le uscite consentite ai soli motivi di urgenza e necessità, oltre che lavorativi (la dove consentiti) si è resa oltremodo necessaria a causa della forte rapidità e  della grande portata dei contagi riscontrati in queste ultime settimane. Ciò su cui inviterei a riflettere è però il prezzo che stiamo già adesso e che ci ritroveremo poi a pagare per tutto questo.

Come accennato nei precedenti articoli (La psicopatologia del Covid-19 e L’angoscia di morte che sottende al covid 19), tralascerò volutamente la dimensione prettamente politica ed economica a tal proposito, ben approfondita e curata dagli esponenti che si trovano ai vertici della società.

Il mio intento è piuttosto porre l’accento sulle conseguenze psico-sociali che la situazione attuale potrà, con elevate probabilità, comportare nei mesi (se non anni) successivi.

1. Tre diverse tipologie di “isolamento”

Nell’articolo “L’angoscia di morte che sottende al covid 19” ho già esposto la mia ipotesi secondo la quale alla base delle innumerevoli angosce che ognuno di noi sta più o meno coscientemente vivendo vi sia un’unica componente esistenziale di base: l’angoscia di morte.

Tuttavia ritengo che, sempre adottando uno sguardo psico-analitico – esistenziale, anche la forzata restrizione della libertà individuale, nonché la “quarantena covid 19”, abbia profondi significati simbolici.

Mi riferirò ancora una volta al filosofo, psichiatra e psicoterapeuta statunitense Irvin D. Yalom, proponendo tre diverse tipologie di “isolamento umano”.

1.1 Isolamento interpersonale

Si tratta di una distanza presa rispetto alle altre persone, altrimenti detta semplicemente “solitudine”.

Può essere determinata da molteplici fattori, strettamente connessi gli uni agli atri; fattori di natura culturale, geografia, capacità relazionali inappropriate, o un particolare tipo di personalità (schizoide, narcisista, manipolatrice…).

In generale, preclude la possibilità di vivere relazioni sociali gratificanti.

1.2 Isolamento intrapersonale

Rappresenta un processo nel corso del quale l’individuo elimina parti di se stesso. Lavorando con le “nevrosi ossessive” già Freud propose il termine di “isolamento” per definire un particolare meccanismo difensivo in cui un’esperienza spiacevole verrebbe privata del suo affetto e delle sue connessioni associative interrotte, escludendo in tal modo la stessa dalla dimensione del pensiero cosciente.

Similmente, Sullivan nel suo schema di psicopatologia utilizzò l’accezione di “dissociazione” (piuttosto che “rimozione”). In generale comunque, la psicologia contemporanea usa il concetto di isolamento per connotare una qualsiasi forma di frammentazione del sé, per cui si verificherebbe ogni qual volta i propri sentimenti o desideri vengono soffocati, quando si accettano gli “io devo” piuttosto che seguire i propri desideri ed aspirazioni, quando cioè viene seppellito il proprio potenziale.

Autori come Maslow, Sullivan, Fromm, Rogers, May, Horney postulano tutti che la patologia altro non sia che il risultato di ostruzioni che, verificatesi nella primissima fase dell’esistenza, agiscono per sviare il normale sviluppo dell’individuo.

1.3 Isolamento esistenziale

Al di sotto delle lacerazioni dovute ad un isolamento dalle altre persone e dall’isolamento da alcune parti di se se stessi, vi è un isolamento ancora più profondo e fondamentale che appartiene all’esistenza e che persiste nonostante il coinvolgimento più gratificante di altri individui e nonostante l’integrazione ed una perfetta conoscenza di sé. L’isolamento esistenziale, “un abisso incolmabile tra un individuo ed un altro essere”, è la “separazione dal mondo”, una “valle di solitudine”.

Crescita ed isolamento esistenziale rappresentano per Yalom due facce di una stessa medaglia; il verbo “esistere” implica la differenziazione (ex-istere significa letteralmente “staccarsi”).

In effetti, come ben evidenziato da Rank, il processo della crescita è un processo di separazione, del diventare un essere separato. Se pensiamo alla vita umana, questa ha inizio a seguito della fusione tra ovulo e sperma, vi è poi la vita embrionale con una assoluta dipendenza fisica del feto dalla madre, ed una successiva dipendenza fisica ed emotiva del bambino dagli adulti che si occupano di lui (caregiver).

Successivamente, piano piano, l’individuo comincerà a stabilire dei confini personali (psichici e corporei, i confini del proprio Sé), i quali andranno a definire la dove egli termina e la dove un altro comincia, divenendo in tal modo autonomo, indipendente e separato.

Se da un lato un non – separarsi implica un non – crescere, d’altra parte separarsi e crescere comportano un ingente prezzo da pagare; l’isolamento.

E’ questo quello che Kaiser definisce come “conflitto universale” dell’essere umano, “diventare un individuo comporta un isolamento fondamentale, eterno ed insormontabile”.

Anche Fromm si esprime in modo simile, in Fuga dalla libertà egli afferma

“A mano a mano che il bambino emerge da quel mondo diventa cosciente di essere solo, di essere un’entità separata da tutti gli altri. Questa separazione da un mondo così irresistibilmente forte e potente, e spesso minaccioso e pericoloso, crea un sentimento di impotenza e di ansietà. Finché si era parte integrante di quel mondo, ignari delle possibilità e delle responsabilità dell’azione individuale, non si sentiva il bisogno di averne paura. Una volta divenuti individui, si è soli ad affrontare il mondo in tutti i suoi aspetti pericolosi e soverchianti”.

E’ proprio in funzione di questo dilemma esistenziale fusione – isolamento che psicoanalisti come Otto Rank hanno definito la nascita come il primo vero trauma della vita.

Isolamento

Isolamento

E’ sulla base di tali concettualizzazioni teoriche che ancora una volta mi piacerebbe sviluppare delle riflessioni rispetto alla pandemia covid 19.

La “nascita” di questo stato di emergenza rappresenta realmente un vero e proprio “trauma per l’intera società”, un trauma all’interno del quale ognuno di noi si ritrova a dover fare i conti con  gli aspetti più pericolosi, minacciosi e soverchianti della storia dell’umanità, sperimentando inevitabilmente un senso di impotenza, di ansietà e di profonda paura.

Se da un lato (come già evidenziato nell’articolo “La psicopatologia del covid 19”), la paura e l’ansia possono rappresentare una risorsa anziché un limite come siamo portati a considerare, rendendoci più accorti e responsabili rispetto ai comportamenti da attuare al fine di prevenire il rischio da contagio, con il passare del tempo potrebbero radicarsi ed esacerbarsi all’interno delle nostre strutture di personalità, dando luogo, potenzialmente, a dei veri e propri quadri clinici psicopatologici, difficili (se non impossibili) da gestire autonomamente.

2. Le ricerche sugli effetti del covid 19 sulla Salute Mentale

2.1 La salute mentale degli operatori sanitari

Stando alle indicazioni fornite dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), non è ancora stato possibile effettuare delle ricerche valide ed attendibili, da un punto di vista prettamente scientifico, in materia di quelli che saranno gli effetti della quarantena covid 19. Tuttavia è stata realizzata un’accurata analisi trasversale (review) sugli studi (3.166 totali) effettuati in precedenza, a partire dalla quale sono state prese in considerazione 20 ricerche, condotte in 10 paesi differenti (dalla Cina al Canada) relativamente alle quarantene attivate a partire dal 2003 in merito a malattie come Sars, Ebola ed influenza H1N1.

Con la premessa che non si tratta  di metodologie adeguate (ad esempio tempistiche troppo brevi dell’isolamento e campioni meno numerosi rispetto a quelli del covid 19, oltre che talvolta l’assenza di gruppi di controllo) emergono comunque alcune utili conclusioni:

  • Il personale medico contagiato e sottoposto a misure di quarantena ha mostrato, al termine dell’isolamento, disturbi acuti da stress, un incremento degli stati d’ansia e sintomi di insonnia.

Altri sintomi psicologici sono stati disturbi emotivi, disturbi dell’umore (depressione), irritabilità e segnali di stress post-traumatico.

Gli esperti suggeriscono ulteriori rischi per il futuro; in particolare rispetto al personale sanitario in prima linea nel contrastare il coronavirus un incremento dei casi di burnout.

A proposito degli studi condotti al fine di valutare gli esisti sulla salute mentale degli operatori sanitari coinvolti in prima linea nell’affrontare l’emergenza del covid 19, uno in particolare sembrerebbe essere più attendibile degli altri (seppur anch’esso con le limitazioni sopra premesse). Si tratta di uno studio trasversale pubblicato dalla rivista medica mensile JAMA Network Open pubblicata dall’American Medical Association che copre tutti gli aspetti delle scienze biomediche. Tale ricerca ha raccolto dati demografici e misurazioni della salute mentale da 1257 operatori sanitari in 34 ospedali dal 29 gennaio 2020 al 3 febbraio 2020, in Cina.

  • Il grado di sintomi di depressione, ansia, insonnia e angoscia è stato valutato rispettivamente dalle versioni cinesi del questionario sulla salute dei pazienti a 9 elementi, dalla scala del disturbo d’ansia generalizzata a 7 elementi, dall’indice di gravità dell’insonnia a 7 elementi e dall’Impatto della Scala degli Eventi- Revised (ISES-R) a 22 elementi.
  • Da un totale di 1830 individui contattati, 1257 ha completato il sondaggio, comportando un tasso di partecipazione pari al 68,7%. All’interno di tale campione, 813 (pari al 64,7%) aveva un’età compresa tra i 26 e i 40 anni, e 964 (76,7%) erano donne. Di tutti i partecipanti, 764 (ovvero il 60,8%) erano infermieri, mentre 493 (39,2%) erano medici. Di questi, 760 (nonché il 60,5%) lavoravano negli ospedali di Wuhan e 522 (il 41,5%) erano operatori sanitari in prima linea.
  • Una percentuale considerevole di partecipanti ha riportato sintomi di depressione (634 [50,4%]), ansia (560 [44,6%]), insonnia (427 [34,0%]) e angoscia (899 [71,5%]) (DISTRESS POST TRAUMATICO).
  • Infermieri, donne, operatori sanitari in prima linea e coloro che lavorano a Wuhan, in Cina, hanno riportato gradi più severi di tutte le misurazioni dei sintomi della salute mentale rispetto ad altri operatori sanitari.
  • Il numero sempre crescente di casi confermati e sospetti, un carico di lavoro schiacciante, l’esaurimento delle attrezzature di protezione personale, una copertura mediatica diffusa, la mancanza di farmaci specifici e la sensazione di non essere adeguatamente supportati possono tutti contribuire all’onere mentale di questi operatori sanitari (FATTORI DI RISCHIO).
  • A partire dal 20 febbraio 2020, Servizi di Assistenza Psicologica, compresi telefoni, internet ed applicazioni per consulenze o interventi di base, sono stati ampiamente implementati da Istituzioni di Salute Mentale locali e nazionali in risposta all’epidemia di COVID-19.

Entrambe le ricerche proposte, la Review di The Lancet e lo studio trasversale di JAMA Network Open, lo ribadisco, non ci offrono purtroppo dati definitivi e del tutto validi da un punto di vista metodologico.

Tuttavia possono rappresentare una base scientifica rispetto a quanto già il buon senso ci può suggerire: i periodi di quarantena possono comportare degli effetti psicologici profondi e duraturi, soprattutto nelle fasce della popolazione più deboli.

2.2 La salute mentale dei bambini

Come evidenziato dai ricercatori cinesi in una lettera pubblicata da The Lancet (in data 4 marzo 2020), si sa ancora poco sugli impatti psicologici della quarantena sui bambini.

Una cosa è certa, la rottura improvvisa e forzata dei legami significativi che erano soliti avere con i compagni e le maestre di scuola, con i nonni ed il resto della famiglia, non deve assolutamente essere trascurata.

A tal proposito penso ad una paziente con la quale sto facendo sedute skype nelle ultime settimane. Si tratta di una donna sulla sessantina, nonna di tre nipotini (uno dei quali nato da un paio di mesi circa) che non può più vedere a causa delle misure restrittive. La prima cosa per me struggente è stato il tono della sua voce estremamente triste con cui mi ha riportato la questione, segno evidente della sua sofferenza a causa di questa separazione (quanti nonni, con figli oramai grandi di cui non si devono più occupare e che vivono altrove, con occupazioni lavorative oramai lasciate a seguito del pensionamento, e quindi con tanto tempo libero che spesso non sanno come occupare, pongono al centro della propria vitalità e felicità i propri nipoti?!). A questo si è aggiunto il racconto di una letterina che il nipote più grande (8 anni appena compiuti) le ha scritto nella quale esprimeva la sua profonda nostalgia nell’andarla a trovare, nel fare merenda con le cose “buonissime” da lei cucinate, nel disegnare e giocare insieme. Probabilmente era implicito dentro di lei un conseguente senso di colpa per averlo come “abbandonato”, o quanto meno la paura che lui possa vivere la distanza in questi termini.

Ecco allora che si apre un’ulteriore fondamentale parentesi; l’importanza di spiegare ai bambini cosa sta succedendo, in modo semplice e chiaro, senza omissioni né tanto meno esagerazioni dettate dalle proprie paure di adulti. L’importanza di non rinchiuderli completamente in casa (anche un’ora al giorno nel giardino o comunque nel perimetro attorno alla propria abitazione, e quindi rispettando le norme in vigore, potrebbe essere per loro tantissimo). C’è poi la possibilità di vivere la quarantena come quell’occasione (mi riferisco ai genitori, in particolare quelli abituati a dover trascorrere gran parte della giornata fuori casa per motivi di lavoro) per riformare e vivere al meglio il nucleo familiare formato. Per fortuna, sento anche di tanti bambini che stanno vivendo l’isolamento come una sorta di “condizione ideale”, finalmente hanno sia la mamma che il papà tutti per loro, 24h su 24, potendoci giocare, parlare e quindi condividendo con loro quel famoso tempo che non si sono mai visti dedicare a sufficienza.

3. Come gestire al meglio la quarantena del covid 19

Al fine di rendere quanto meno traumatico possibile questo periodo di quarantena sarà utile ed opportuno, secondo i ricercatori, seguire alcune indicazioni;

  • Cercare di reperire informazioni sullo stato di emergenza covid 19 attingendo a fonti quanto più validate possibile, prestando sempre attenzione alle cosiddette “fake news(ovvero “false notizie”, estremamente diffuse e talvolta fuorvianti oltre che spaventose ed allarmanti).

A tal proposito sarebbe importante che anche il governo si impegnasse garantendo una comunicazione, tramite i media, chiara e trasparente. Che non si limitasse a veicolare esclusivamente notizie angoscianti sulla crescita esponenziale dei contagi (spesso tralasciando le giuste variabili con cui la lettura delle curve dovrebbe essere effettuata), ma riportando anche, e forse soprattutto, i casi delle persone guarite. Infonderebbero così anche speranza e responsabilità civile e morale oltre che terrore e conflittualità (penso alle numerosissime denunce che i cittadini si stanno facendo tra di loro, che seppur più o meno fondate, rappresentano una sorta di “lotta interna” in uno scenario già altamente conflittuale di per sé).

  • Vedere le tecnologie in una nuova ottica; non più come un qualcosa che distrae, che isola, che aliena. Queste ultime ad oggi rappresentano piuttosto una sorta di “ponte affettivo virtuale”, la maggiore (se non unica) possibilità di contatto con i nostri cari che stanno passando la quarantena in un’abitazione differente dalla nostra.

Sono ciò che sta consentendo ad alcuni di proseguire con la propria attività lavorativa (persino per noi terapeuti che riusciamo ancora a sostenere i nostri pazienti in un setting virtuale, tramite skype e videochiamate whatsapp).

Non solo l’attività lavorativa ma anche l’attività formativa ha la possibilità, cercando di adattarsi al meglio possibile, di proseguire. Lezioni, supervisioni, convegni, seminari e tante altre occasioni di formazione si stanno traducendo online mostrandosi al passo con i tempi piuttosto che interrompersi completamente.

Senza contare l’altrettanto importante ruolo che rivestono in qualità di “distrattori” e “passatempo”, se consideriamo i tanti bambini che giocano dai cellulari, pc e tablet dei genitori, i numerosi film e serie TV che persone di ogni età seguono la sera dopo cena come nell’arco dell’intera giornata. Oltre alle numerose notizie che ci fanno ottenere i notiziari (seppur con i limiti sopra descritti) e che quindi ci mantengono consapevoli e connessi con quanto avviene nel resto del mondo.

  • Organizzare al meglio gli spazi domestici condivisi con i propri conviventi; molto spesso nelle sedute con i pazienti una difficoltà comunicata si riferisce al senso di soffocamento, di invadenza e quindi di intolleranza che il convivere, a più o meno stretto contatto, con altre persone comporta. Il tutto diviene chiaramente ancora più pesante nei casi in cui non si dispone nemmeno di un giardino o addirittura di un balcone.

Ecco allora che ritagliarsi propri spazi (spaziali e temporali) diventa estremamente difficile, talvolta addirittura impossibile, ed ogni qualvolta l’altro entra nella stessa stanza in cui si cerca pace e relax si tende a percepirlo come un “invasore”. E’ facile così che le tensioni e le angosce  personali vengano sfogate sugli altri inquilini, esasperando ulteriormente il vissuto personale della quarantena ed eventuali conflittualità interpersonali precedenti. Ritengo che questo semi-isolamento che stiamo tutti noi vivendo sia troppo lungo e faticoso per essere lasciato al caso, per cui un buon modo per lenire la sofferenza e la pesantezza che ad esso sono associate potrebbe essere quello di organizzare tempi e spazi, dedicarsi alle proprie passioni personali oltre che ai passatempi e rispettare (reciprocamente) il bisogno (e quindi non solo l’angoscia) di isolamento (nonché di un contatto con il proprio mondo interiore). Potrà sembrare un discorso banale, eppure con alcuni pazienti in queste settimane non è stato possibile fare i nostri soliti incontri skype (alcuni hanno addirittura dovuto sospendere il percorso di psicoterapia precedentemente intrapreso) proprio a causa dell’impossibilità di vedersi garantita la propria privacy. Senza contare l’impatto che tale dimensione ha comportato nelle coppie (sposate e non); non sono poche le relazioni di coppia che stanno vivendo importanti difficoltà proprio in conseguenza dello stretto contatto cui non erano abituate pur convivendo, anche da numerosi anni, ma mai in questo modo continuativo e forzato.

L’isolamento della pandemia covid-19 - psicoterapeuta findanno

L’isolamento della pandemia covid-19

4. Conclusioni

L’esperienza dell’isolamento sociale provoca uno stato soggettivo di profondo disagio e, come qualsiasi altra forma di disforia, non può essere tollerata a lungo dall’individuo. In questo ultimo periodo le nostre difese inconsce stanno senza dubbio lavorando senza sosta per seppellire quanto più possibile le angosce e le sofferenze varie dalla nostra dimensione conscia. Come suggerito da Yalom “Il principale baluardo contro il terrore dell’isolamento esistenziale è la natura relazionale”. E se è vero che nessuna relazione potrà mai eliminare del tutto la solitudine che ci sta investendo (in tutti i sensi), tuttavia l’unica cosa che possiamo fare è quanto meno condividere questa esperienza, in modo tale che l’amore possa andare a compensare il dolore che ne deriva. Del resto,

“se siamo sopraffatti dal terrore davanti all’abisso della solitudine, non porgeremo la mano agli altri ma invece ci sbracceremo composti per non annegare nel mare dell’esistenza […] Non ci relazioneremo agli altri con la percezione di avere a che fare con esseri come noi, anch’essi soli e spaventati”. Il rischio di tutto questo sarà allora l’impossibilità di vivere le relazioni in modo autentico e profondo, la tendenza a trattare gli altri come se fossero attrezzi e strumenti; “La funzione fondamentale dell’altro è naturalmente la negazione dell’isolamento”.

Ribadisco ancora una volta l’importanza della relazione terapeutica in una simile situazione; uscire dalle angosce evitando i rischi psicologici sopra citati e riferirsi al sostegno di uno psicoterapeuta potendo vivere (per quanto possibile) questa quarantena non solo come una mera privazione ma guardarla piuttosto a 360 gradi, ovvero cogliendone anche le opportunità che ci può donare. Come accennavo, condividere le proprie emozioni in una relazione (in questo caso mi riferisco alla relazione terapeutica) non eliminerà completamente il peso delle proprie angosce e paure, tuttavia potrà alleggerirlo e renderlo così più sostenibile.